43. “Il suono dell’acqua”
17 gennaio 2012
Se tu fossi regista, e io attrice,
ora mi potresti riprendere ascoltare
il suono dell’acqua cadere dalle tue dita.
Come vorrei essere pianoforte.
Esaudire il tuo sogno d’infinito
attraverso i miei tasti
e farti sospirare in bianco e nero.
Tu, che dell’arte sei allievo e maestro,
ne trarresti da artigiano della musica
il massimo splendore,
e beati ne sarebbero i presenti.
Beami ancora un po’ di queste perle di catarsi,
oh immagine sublime
che di quest’apostrofe sei referente,
e lasciati dar vita
nel buio creativo di questa stanza da letto.
Un tempo mi dicesti serio,
con l’onestà di un ubriaco,
che sarei dovuta diventare pianista.
Smettere di bramare le tue corde
per concedermi ai tocchi sopraffini
delle piume sulle ali.
Angelico fosti allora,
nella verità segreta di una frase non più ricordata;
e ci sono io che la raccolgo ora,
lettera dopo lettera,
per renderle giustizia e ricostruirne la memoria.
Mi sciolgo i capelli incatenati
e respiro libertà.
Sono libera di credere che le tue esortazioni
fossero per plasmarmi amante perfetta;
che gli occhi tiepidi nonostante il freddo
non mentissero sul loro stato di vita.
Tu non menti mai.
Piuttosto fai rispondere il silenzio,
non sporcandoti le mani,
ma non menti mai.
E se prometti ciò che non puoi offrire
dimentichi di aver messo la mano sul cuore,
così la promessa non avrà più alcun valore.
E’ per questo che ti credo incondizionatamente,
e non ho aspettative sul tutto
e non ho aspettative sul niente.
Saperti a mille chilometri da qui è angosciante.
Riascoltarti nelle note mai create
della pianista che c’è in me
inasprisce di surreale quest’inquietudine
e dà un sottofondo propenso all’infondata attesa
di un’ascesa alle più ultime realtà.
Vaneggio mentalmente.
Chiamo le canzoni con la forza del pensiero
e mi illudo che tu le possa origliare.
41. “Jolene”
19 dicembre 2011
Attendo, senza voglia di raggiungerlo,
l’istante in cui mi dirai “non ti voglio”.
Chi vuoi, tu, stanotte?
Maledizione alle belle labbra altrui,
sempre più sirene delle mie.
Maledizione ai loro richiami disonesti,
eco di un’antica speranza disattesa.
Marcisce un po’ il mio cuore
nel percepire l’avvicinamento alla mia data di scadenza.
Io vorrei sempre essere frutto
tra le foglie di un albero in fiore.
Vorrei essere un dolce non ancora spartito.
Vorrei essere un foglio bianco
tra le pagine del tuo libro di poesie,
o se possibile
una parola fresca d’inchiostro rosso.
Vorrei non maturare mai.
E mi lascio prendere dai timori d’addio
e dalle tue mani distanti,
e mi si secca la bocca dai troppi baci
o dalle parole non dette.
Squilibrata come sei solita essere,
cammini sulla linea gialla della banchina
noncurante del treno che sta per passare.
Vorresti essere all’aria aperta,
a respirare reciprocità
in parchi a forma di cuori,
ma sottoterra l’ossigeno scarseggia
e la felicità è rarefatta.
Non innamorarti del sole,
anch’esso un giorno esploderà
e cesserà di esistere.
Faresti meglio a tornare al bianco e nero
dell’assenza di colori,
perché solo non conoscendo puoi non amare.
E gli occhi chiari dell’ennesima Jolene della tua vita
non avrebbero più ragione d’essere.